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FASCIA D'ETA' 11 - 14 ANNI

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SOS… Cerco musica disperatamente di Gabriella Santini, Raffaello Ragazzi 2013

di Cosimo Rodia

 

SOS… Cerco musica disperatamente di Gabriella Santini è un romanzo scritto in prima persona da Diletta, Dì per gli amici, una ragazza che frequenta il quarto ginnasio, figlia di una famiglia modesta, con un fratello maggiore genialoide, Alessandro; possiede un violino e una viola chiamati Paganini e Cecilia; ama la musica, ma si iscrive al liceo classico; è innamorata del suo amico del cuore Filippo, senza mai dichiararsi. Un giorno in classe arriva una sua vecchia conoscenza: Marzia, con cui riallaccia la vecchia amicizia; Diletta si accorge che Filippo si innamora di lei.

Da un biglietto rinvenuto, Alessandro si accorge che la sorella è crescita, così la sera la porta in discoteca, alla “Tana del ragno”, per allacciare con lei un vero rapporto fraterno e le dice di portare Paganini.

Nel locale, la ragazza conosce Glauco, un giovane liceale che cerca vanamente di conquistarla; quando nota Paganini spinge Diletta a suonare; la ragazza accetta la sfida, suona ed è un successo che lascia tutti a bocca aperta. Si accorge contestualmente che in discoteca si sono intrufolati Filippo e Marzia, che si danno un bacio.

Il giorno dopo i genitori di Diletta sono convocati a scuola per lo scarso profitto della figlia. I genitori la puniscono togliendole gli amati strumenti musicali. Diletta avverte un disamore da parte dei genitori che concentrano le attenzioni sul fratello, così scappa di casa.

Si reca alla Tana del ragno dove incontra Glauco; si sfoga con l'amico il quale l'aiuta, conducendola nella sua casa sull'albero.

Glauco porta a Diletta anche un violino a condizione che lo suoni il sabato successivo alla Tana: in realtà organizza un piano di riconciliazione con la sua famiglia.

Nel giorno cruciale, tutti i riflettori la inquadrano; suona ed è un successo. Ad ascoltarla nota Filippo, Mattia, Marzia, Alessandro e tutti i compagni di scuola, compreso i suoi professori e i suoi genitori. Quando la mamma in lacrime le porge il suo Paganini, la sala esplode, Diletta riprende a suonare col cuore gonfio: l’amore si intreccia con le note della musica. I rapporti sfilacciati in famiglia si ricuciono e Diletta sarà libera di inseguire il suo sogno e di frequentare il conservatorio.

 

Un romanzo che ha una serie di personaggi, tutti tagliati verosimilmente sui ragazzi dei nostri giorni; tra i tanti ci sono due figure che primeggiano e che per diversità si integrano e si completano: Diletta e la sua spalla Marzia. Diletta è insicura e sognatrice; Marzia è decisa e intraprendente. Ma ognuno non è mai quella che appare. Ognuno nel mondo si disegna un ruolo e un modus di apparire. Sicchè il personaggio-spalla del romanzo, l’amica d’infanzia ritrovata, Marzia è la scaturigine delle contraddizioni del mondo degli adulti, tanto che la sua apparente sicurezza e la sua estroversione sono una risposta alle frustrazioni di avere genitori separati, di vivere in una casa hollywoodiana ma vuota d’affetti, di essere sola nell’affrontare la vita. Una bella figura tratteggiata con levità dalla scrittrice che certamente ama i ragazzi e di cui ne comprende le varie sfaccettature, tanto che mai indugia sul loro dolore, quasi per non schiaffeggiarli più volte.

Naturalmente la protagonista è Diletta disegnata con una penna a tutto tondo capace, di appuntare lungo l’arco della giornata il groviglio di sensazioni, paure, pensieri, desideri, aspettative che si intrecciano nella sua mente.

E l’autrice lo fa con una scrittura  originale, anche se già sperimentata nei suoi precedenti romanzi: i ragazzi sono ritratti nei loro movimenti più sottili dell’animo. Risentendo delle abilità multitasking dei giovani, la fabula è arricchita da una serie di intrecci richiamati, da una serie di inferenze e di appunti, tanto da definire una pagina variegata con diverse sollecitazioni, che vanno dal pensiero extratestuale alla spiegazione di una parola, alla biografia di un nome richiamato; un testo poi stilisticamente presentato con sottolineature, corsivi, maiuscole, grassetti… scalzando l’andamento ortodosso della scrittura, risultando così un ottimo esempio di romanzo post-moderno. Sempre sul piano stilistico vanno richiamate le inferenze del registro informale, fare da pandant alla prosa arricchita da sopraffine metafore (Le mie guance diventavano più maculate dalle foglie d’autunno. O ancora: La coperta scura della sera ci copre; o, infine: L’amore non è un progetto… è un uragano. Un vortice. Un fiume di sentimenti in piena). Un libro dunque che passa facilmente senza stacchi visibili dal linguaggio colloquiale al registro vigilato dalla sottile figurazioni.  

Un libro che ha peculiarità narrative come pochi: è scritto in prima persona, intercalando spesso, secondo lo stream of consciousness già sperimentato dalla letteratura adulta con il romanzo psicologico, pensieri, valutazioni, ricordi…

Una narrazione varia la cui forza risiede nel rappresentare i momenti che hanno fatto crescere la protagonista, da risultare un modello di immedesimazione per le giovani lettrici. Nello stesso tempo non mancano i dialoghi serrati ed essenziali, che creano un brio narrativo di piacevole scorrevolezza.

Un bel romanzo di formazione (psicologico-educativo-sociologico), tra i finalisti al Premio Bancarellino 2014, capace di parlare sia agli adulti, nella loro difficile opera di essere riferimento per chi ha tanto bisogno di aiuto mentre afferma la propria autonomia, sia per ragazzi, cui dice indirettamente di credere in se stessi, di credere nella famiglia e nell’amicizia e principalmente di credere nei sogni e di inseguirli fino in fondo, affinchè la vita si dipinga di colori vivi e sfavillanti.

 

 

 

 

 

fantasy +11

 

SPINDLERS, di Lauren Oliver, Piemme “Battello a Vapore”, Milano 2013.

 

Gli Splinders sono delle piccole creature che somigliano a dei folletti, che vivono nel mondo di Sotto. La protagonista Liza si accorge che il fratello Patrick cambia profondamente modo di fare dalla notte alla mattina e capisce che sono stati proprio gli Splinders a rubargli l’anima, sicchè inizia un’avventura per salvarlo e per farlo si inoltra nel mondo parallelo del regno di Sotto, abitato da topi parlanti, talpe melomani e altre bizzarre creature; in questo luogo incontra la regina cattiva!

Un romanzo fantasy per ragazzi che iniziano la scuola secondaria di primo grado, caratterizzato dal giusto time narrativo, scritto dalla nota scrittrice americana, che da editor di libri young-adult ha fondato, con altre collaboratrici, la società che progetta e sviluppa libri per ragazzi “The Paper Lantern Lit”.

Assolutamente da leggere, per gli amanti del genere. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

+12 

 

O Maé – Storia di judo e di camorra di Luigi Garlando, Piemme - Battello a Vapore, 2014

di Cosimo Rodia.

 

O Maé – Storia di judo e di camorra di Luigi Garlando è un romanzo sulla legalità che parla delle infanzie negate, mentre la vita degli adulti procede tra violenze, accumulazione e ostentazione di denaro; e Garlando presenta contestualmente una via d’uscita per riscattarsi e condurre una vita normale, poggiata sui valori umani dell’amicizia, della solidarietà, dello sport, del successo sudato.

La storia inizia con un flashback. Tre anni prima, Filippo, quattordicenne, fa il palo a spacciatori di Scampia e scippi nella Napoli bene; ha un padre, “il Falco”, in galera e pentito di Camorra, una madre depressa, un fratello maggiore, Carmine, “il Ninja”, braccio destro del boss della camorra Toni Hollywood; ha due amici di merenda: Pasquale, il suo braccio destro, e Maradona, il Pibe di Scampia, una promessa del calcio napoletano.

Un giorno zio Bianco, prima di essere ucciso, prega il maestro Gianni Maddaloni, di prendersi cura del nipote Filippo; Gianni svolge nel degradato quartiere di Napoli un lavoro di recupero sociale, diffondendo le regole del judo: coraggio, umiltà, altruismo, temperanza, rispetto degli altri e dei più deboli.  

Filippo inizia a frequentare la palestra, dove incontra Ginevra, figlia del suo professore di musica, disponibile ad aiutarlo, visto che suona il pianoforte a orecchio; a Natale, i due ragazzi si scambiano dei doni: lui le regala una costosissima borsa di Luis Vuitton, che Ginevra non accetta; Filippo, offeso, si allontana e lascia anche gli allenamenti.

A Capodanno il giovane segue il fratello da Toni Hollywood, in una festa blindata, in cui il boss propone a Filippo di usare una pistola, per farne un uomo di sua fiducia. Il ragazzo declina l’invito. Nel frattempo torna ad allenarsi, e riannoda l’amicizia con Ginevra. Uno del clan avversario, picchia Filippo e questi prepara in silenzio una vendetta esemplare.

Un giorno, Filippo vede Ginevra con un altro ragazzo e sentendosi tradito, scappa; Ginevra lo raggiunge, ma Filippo l’allontana con uno schiaffo; dopo questo gesto egli è cacciato dalla palestra.

Scoppia la guerra tra clan e sono uccisi Toni Hollywood e alcuni suoi scagnozzi; anche per Carmine le ore sono contate.

Gli allievi della palestra convincono il Maestro ad accettare nuovamente Filippo; sicchè è riammesso. Il ragazzo, al bivio tra legalità e illegalità, sceglie la prima strada fatta di regole, di allenamenti e di sofferenze per partecipare alle competizioni nazionali.

Frattanto il Pibe di Scampia  muore nel corso di uno scippo. Filippo è afflitto e quando incontra il fratello braccato dalla camorra e dalla polizia, lo atterra con una mossa di judo, permettendo il suo arresto, consapevole anche di salvargli la vita.

Dopo duri allenamenti, Filippo giunge a Cagliari dove diventa campione d’Italia e tra la folla incrocia gli occhi del padre: due guardia l’hanno scortato a vedere la gara del figlio.

Così il giovane di Scampia si affranca dalla Camorra e diventa un esempio per i più piccoli. Il romanzo si chiude quando tra i nuovi frequentatori della palestra entra, scortato da secondini, il Ninja pronto a redimersi.

È un libro avvincente, emozionante e ricco di colpi di scena, scritto da un Autore avvezzo a raccontare scenari di illegalità, di sopraffazione, di ingiustizie, come già fatto brillantemente in Per questo mi chiamo Giovanni, omaggiando il magistrato Falcone.

È un romanzo realistico e nel contempo memoriale, diaristico, di denuncia sociale, ed anche di formazione. È un romanzo plurigenere, scritto con grande bravura nell’imbastire storie per innescare una riflessione critica, prodromo della rinascita e della speranza in un mondo migliore.

‘O Maè è un libro, infatti, che dona un credito energico alla speranza; in tanta illegalità, degrado, abbandono, la storia di Filippo è come l’albero di Falcone, sul quale vengono attaccati tutti i pensieri degli italiani, mostrando come, pur essendo stato ucciso, il magistrato abbia vinto sui suoi sicari. Così Filippo, da manovale della camorra, è l’esempio del riscatto; una rinascita che avviene attraverso lo sport, come ancora insegna il padre della medaglia d’oro alle olimpiade del 2000.

Come dice l’Autore, tutti i fatti sono recuperati dalla realtà: la palestra di Maddaloni, i secondini che accompagnano carcerati, il pianoforte, i tanti scugnizzi; abbiamo l’esempio in cui la realtà supera abbondantemente la fantasia. Ad ogni modo, nel racconto giganteggia il protagonista nel suo processo di redenzione, nei tre anni in cui avviene la metamorfosi dell’affrancamento. Lumeggia Filippo mentre cade e si rialza, e più volte al bivio riesce ad imboccare la strada giusta, dopo aver messo a fuoco: l’esperienza del padre in galera e pentito, la morte dello zio, dell’amico e di un fratello braccato da killer spietati.

Il ragazzo si riscatta con lo sport e con l’educazione che il judo insegna; il decalogo dei Maddaloni è una sorta di Super-Io che segue la narrazione e l’agire dei protagonisti, finchè si giunge alla fine al superamento del passato e Filippo diventare il modello per le nuove generazioni.

È un libro palpitante scritto come se l’Autore fosse un napoletano verace, come se avesse vissuto tra le “Vele” di Scampia e gli scorresse sangue ossigenato dal Vesuvio. L’Autore parla con le stesse metafore dei ragazzi abbandonati, ragiona con gli stessi stereotipi, esalta gli stessi miti di quel sottoproletariato urbano perso dietro i miti televisivi e calcistici, in cui si santifica il denaro, strumento di potere e dominio.

I protagonisti sono la fotografia della cronaca nera di cui danno conto i tiggì nazionali: la guerra tra clan per il predominio del mercato della droga, i boss arricchiti, grossolani e sanguinari, gli omicidi e le vendette, gli arruolamenti, le baby gang...

Da queste scene emergono: tanta infanzia negata, tanta mortalità scolastica, tanto degrado, con bambini nelle mani di organizzazioni malavitose, asserviti come tanti soldatini, pronti a infrangere sogni e destini.

Nel romanzo, sono qua e là toccati altri problemi, strettamente collegati ai primi: i pentiti di camorra e la vergogna della “terra dei fuochi”, che fanno da corona a un dipinto infernale rispetto al quale la coscienza umana si ribella e spera che le istituzioni non tardino ad arrivare, per ridonare il senso della speranza. 

Se la legalità è un costume sociale acquisito, significa che alla legalità si educa; ed essendo l’educazione tanto più efficace quanto più è rivolta al soggetto in formazione, il romanzo ‘O Maè di Garlando bene si presta ad essere un ottimo strumento per raggiungere questo fine educativo, perché fa leva sulla fiction, che è il genere più efficace nel coinvolgere emotivamente il ragazzo.

 

 

 

 

 

Lettura +11

I fantasmi di Giulia di Anna Vivarelli, Piemme – Battello a Vapore, 2013

Il nuovo romanzo I fantasmi di Giulia di Anna Vivarelli non disattende le aspettative. La storia. Giulia, poco più di sedici anni, è la primogenita di Giorgio ed Elena Vezzosi, ed ha un fratello dodicenne, Edoardo. Per lavoro la famiglia lascia Torino per trasferirsi in montagna a Montesecco, poco più di un cumulo di case. L’integrazione è buona e la sistemazione nella nuova casa sgombra le iniziali perplessità. Il solaio della villa però è abitato da tre fantasmi, vecchi inquilini: Toni, la moglie Tilde e il maestro Parietti. I Vezzosi sono accettati dai simpatici spettri, tanto che a vario titolo li aiutano nei lavori di sistemazione. Un giorno i tre spiriti notano la presenza di Corinna, una bambina morta tragicamente nel dicembre del ’58; ella si lega a Giulia, tanto che la giovane torinese accusa un disagio che presto si trasforma in malessere. Quando la protagonista si ammala, i tre fantasmi buoni capiscono che l’origine è Corinna; progettano di scoprire le cause della sua morte affinchè termini l’influsso negativo, così si rivelano ad Edoardo e a Elena.

Una serie di congetture portano Elena e Giulia da Adelio, lo scemo del villaggio. Qui avviene il momento temuto e sperato: attraverso il corpo di Giulia, Corinna accusa Adelio di averla uccisa e lo maledice. Silvio, un vecchio operaio avvisato da Edoardo, mette in salvo le donne e calma Adelio, che assalito dal senso di colpa muore, mentre Corinne si volatilizza.

Giulia da quel momento ritorna in sé, recuperando forza ed energie e cancellando le  ragioni della sua malattia.

Spesso nei romanzi sono seminati visioni esistenziali e pensiero dei loro autori. È ciò succede in I fantasmi di Giulia, un’opera matura della Vivarelli, nelle cui trame l’autrice ha saputo intrecciare all’avventura umana e surreale, bellissimi quadri di civiltà. Come a dire ai ragazzi: voi siete immersi nel nuovo con tante comodità e sicuri vantaggi, ma forse vi sfugge la rotondità affettiva delle terre genuine, il gusto per la sua bellezza incontaminata o per la semplicità di una sagra…

I fantasmi di Giulia è una storia avvincente, con molti intrecci e con tanti personaggi, ognuno fondamentale nel grande mosaico narrativo. Molti sono gli aspetti qualificanti.

Primo. È importante notare la grande costruzione narrativa poggiata sulla doppiezza. Due sono gli ambienti infatti in cui si svolgono le azioni tra di loro parallele e parzialmente interagenti. Vi è la casa in cui vive la famiglia del dott. Vezzosi e la soffitta in cui ‘vivono’ stabilmente i tre fantasmi. Due livelli cui corrispondono pure due diversi stili di scrittura. Il primo realistico, il secondo umoristico-ironico-surreale. Una grande trovata da rendere il romanzo dal quinto capitolo in poi un vortice di avvenimenti, resi accattivanti anche per l’uso di espedienti narratologici, come il lasciare sospesi alcuni indizi, alcune esclamazioni, alcuni dubbi…, presagendo sviluppi successivi. Secondo. Un altro aspetto saliente è la pregnanza affettivo-psicologica della vicenda narrata. Il dramma di Giulia ha apertamente tratti psicologici, costruito sui sottili movimenti dell’animo della persona nell’età di mezzo, quando da bambina si trasforma in donna; movimenti di cui spesso non se ne riconoscono i contorni. La conclusione di Edoardo di pensare che sia stato tutto un sogno… mostra un’altra verità: la crescita ha mille variabili, da quelle note a quelle solo percepite, da quelle reali a quelle sognate…, e tutte hanno una valenza formativa che aiutano la trasformazione della crisalide.

Poi, aggiungiamo un terzo aspetto. Il romanzo pur fantastico-surreale è anche realistico e di formazione.

A volte la realtà è più cruda e forte della fantasia, in effetti la cronaca sciorina innumerevoli infanticidi. La morte di Corinna è atroce; l’autrice però addolcisce la portata della tragedia sia perché l’atto è eseguito per mano di un altro minore, Adelio, sia perché avviene senza premeditazione; poi, come sempre, una tragedia, ne chiama a sé altre, tanto che tragica è la vita dello stesso Adelio, come suicida è Rosa, consapevole del folle gesto del suo fidanzatino. Una storia, quella di Corinna, di comune bullismo finito tragicamente. Dov’era gli adulti, potremmo dire? È difficile dare colpe; ma questo è un altro discorso.

La conclusione, realistico-psicologica, è come fosse una lunga seduta psicoanalitica: solo guardando in faccia la realtà, solo puntando gli occhi in quelle del colpevole, Corinna si sarebbe scrollata il ghiaccio dal cuore; infatti, dopo  aver gridato, attraverso la voce di Giulia, la colpa di Adelio, Corinna si volatilizza e finalmente riposa in pace; il suo assassino muore e anche per lui la pena ha fine.

Il movimento narrativo è sostenuto proprio dalle due forze umane contrapposte: dall’odio e dall’amore. Ed è quest’ultimo a vincere, ricreando il cerchio magico della famiglia sana in cui la solidarietà e l’affettività si spargono a larghe mani. Proprio in questi passaggi, il romanzo diventa la rappresentazione del bene e del male; di due forze uguali e contrarie che accompagnano l’esistenza umana. I tre fantasmi rappresentano evidentemente il bene; Corinna il male; una visione manichea, in cui ad avere la meglio è il bene, l’importante è non perdere la fiducia, rimanere combattivi e credere nella famiglia.

Ed è pure, dicevo, una storia di formazione; ovvero, nella fase di transizione si è vulnerabili e alla ricerca di equilibri; dopo tante esperienze, Giulia è cresciuta, nonostante non ricordi più nulla.

Infine, c’è un’idea che mi corre alla mente così dolce e così rassicurante: la presenza degli antenati che ci vivono a fianco, come numi tutelati. I tre fantasmi buoni ci regalano l’idea di non essere mai soli; un’idea bellissima; e quando l’autrice ci parla di uomini morti, ce li rappresenta senza alcun velo di tristezza, si serve infatti dello strumento dell’ironia o dei paradossi, senza trascurare di pennellare degli scorci di civiltà da lasciare sul lettore più attempato un velo di nostalgia per un paradiso perduto; anche se sono tocchi lievi, appena percettibili, vergati con maestria.

Sul piano stilistico, la Vivarelli si riconferma scrittrice leggera, che una volta delineata la storia, procede veloce, con dialoghi serrati, con anticipazione, facendo esplodere successivamente i tanti indizi lasciati cadere nel corso del racconto, creando un climax ascendente straordinario e dal sicuro effetto diegetico. Scritto con linguaggio semplice e scorrevole, ci troviamo di fronte all’ennesimo ottimo romanzo della scrittrice torinese, solo che qui, il lettore adulto troverà delle sfumature nuove, dei richiami affettivo-esistenziali, un accenno all’idea del tempo che scorre inesorabile e inarrestabile e ciò lo si legge in filigrana in un bel concerto di colori e avvenimenti che lasceranno invece il giovane lettore senza fiato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Letture + 10

Giulio Cesare di Ermanno Detti, Raffaello 2014

di Cosimo Rodia

La vita dei grandi uomini, le cui gesta hanno condizionato il corso della storia umana, bene si presta al leit motiv di un romanzo, in cui far identificare il lettore. Ermanno Detti recupera la vita paradigmatica di Giulio Cesare (ricca di battaglie, conquiste, progetti vincenti e caratterizzata da un epilogo tragico) e costruisce un racconto, mettendo insieme fatti storici, parole leggendarie, una serie di personaggi sia verosimili sia inventati, giungendo ad un risultato narrativo avvincente. La storia è scritta in terza persona, anche se il punto di vista, attraverso cui si avvicendano i fatti, è quello di Socrate, un giovane studioso, figlio di un aruspice, che avrebbe predetto a Cesare la congiura il giorno nelle idi di marzo.

L’apparente biografia inizia in medias res. Socrate è chiamato da Cesare per interpretare sogni, responsi e altri segnali soprannaturali, che anticipavano la sua fine tragica. Il giovane, avvezzo al ragionamento e alla logica, si oppone alle spiegazioni affrettate, cui concorre anche il suo amato padre, ma una serie di circostanze gli fanno cambiare idea: Tuia, schiava di Cesare, e concessa di tanto in tanto a Cassio, ode il piano dei congiurati contro il suo padrone. La schiava, allora, informa Socrate; questi avrebbe dovuto avvisare Cesare, ma una serie di avvenimenti non gli permettono di cambiare il corso della storia. Così, nel luogo emblema della democrazia romana, Cesare è pugnalato mortalmente 23 volte, incluso il colpo inferto anche dal figlio adottivo, Marco Bruto.

Una bella narrazione in cui, accanto alla parte romanzata, non mancano i riferimenti alle conquiste di Cesare (tratti dal De bello gallico) o alla situazione di Roma (desunti dal De bello civili). Di qualità sono i passaggi di Detti nel presentare alcune stragi (ritenute “necessarie” nelle conquiste), la violenza contro i più riottosi (come per il leggendario Vercingetorige), la mancanza di pietas. Sullo sfondo ci sono almeno due aspetti che rendono il libro molto suggestivo. Il primo è rappresentato dalla condanna indiretta della tirannide e dall’apertura di credito al confronto e alla dialettica tra le parti. Il giovane Socrate rappresenta simbolicamente il richiamo al concetto di democrazia; egli, infatti, tende ad entrare nel cuore del tiranno e fargli comprendere, ad esempio, l’importanza del confronto, le insidie delle sopraffazioni, la contrarietà alla schiavitù. Il secondo aspetto fortemente suggestivo e altrettanto avvincente è lo stile, apertamente strutturato sulla figura narratologica del climax, che esplode nelle pagine finali del capitolo della “Congiura al Senato”, in cui la corsa del giovane studioso è vanificata dalla casualità e dall’organizzazione dei congiurati.

Un bel libro, scritto con una prosa asciutta e con l’uso frequente del dialogo, in grado di rendere ogni cosa essenziale ed assecondare i gusti dei giovani lettori, i quali ricevono un esempio di uomo politico, dotato di pregi e difetti, e una narrazione carica di anelito civile e democratico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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